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REGISTRO DE OBRAS

Scoperto in Perù l’animale più pesante mai vissuto, il cetaceo Perucetus colossus per UniPi news

VERSIONE SPAGNOLA

Dal Deserto di Ica, lungo la costa meridionale del Perù, riaffiorano i resti fossilizzati di uno straordinario animale risalienteA ICA desierto

a quasi 40 milioni di anni fa: un antenato delle balene e dei delfini caratterizzato da osse 

ossa grandissime e pesantissime che fanno pensare a un mostro marino dalle proporzioni titaniche.

Un articolo appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature presenta una prima analisi

di questo eccezionale cetaceo, a cui è stato dato il nome di Perucetus colossus in onore del paese sudamericano in cui è

stato rinvenuto e in riferimento alla sua taglia letteralmente colossale.

Il gruppo internazionale di scienziati autori della ricerca vede in primo piano i paleontologi del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa: il professor Giovanni Bianucci, primo autore e coordinatore della ricerca, il dottorando Marco Merella e il ricercatore Alberto Collareta.

Allo studio hanno partecipato anche altri geologi e paleontologi italiani provenienti dalle università di A PERUcetus 2

Milano-Bicocca (la ricercatrice Giulia Bosio e la professoressa Elisa Malinverno) e Camerino (i

professori Claudio Di Celma e Pietro Paolo Pierantoni), affiancati da ricercatori peruviani e di

diverse nazionalità europee.

Le ossa fossili di questo cetaceo primitivo sono state recuperate in successive campagne di scavo e sono

ora conservate presso il Museo di Storia Naturale di Lima. Consistono di tredici vertebre, quattro

costole e parte del bacino, quest'ultimo a indicare che Perucetus era ancora provvisto di piccole zampe posteriori, una

condizione riscontrata anche negli altri Basilosauridi, il gruppo di cetacei arcaici a cui è stato riferito questo nuovo mostro

marino.

"Sebbene lo scheletro da noi studiato non sia completo, stime rigorose basate sulla misurazione  A PERUCETUS 1

delle ossa conservate e sulla comparazione con un ampio database di organismi attuali e fossili –

spiega Giovanni Bianucci – indicano che la massa scheletrica di Perucetus era di circa 5-8

tonnellate, un valore perlomeno doppio rispetto alla massa scheletrica del più grande animale

vivente, la balenottera azzurra.

Il pesantissimo scheletro di Perucetus, che in vita avrebbe raggiunto i 20 metri di lunghezza, suggerisce che la massa

corporea di questo antico cetaceo potesse raggiungere le 340 tonnellate, quasi il doppio della più grande balenottera

azzurra e oltre quattro volte quanto stimato per l'Argentinosauro, uno dei più grandi dinosauri mai rinvenuti".

Perucetus rappresenta dunque un ottimo candidato al ruolo di animale più pesante di tutti i tempi, un record da cui verrebbe

scalzata proprio la balenottera azzurra. Le implicazioni paleobiologiche di una simile scoperta sono di estrema importanza.

"L'enorme massa corporea di Perucetus – prosegue Bianucci – indica che i cetacei sono stati a cetuspe

protagonisti di fenomeni di gigantismo in almeno due fasi: in tempi relativamente recenti, con

l'evoluzione delle grandi balene e balenottere che popolano gli oceani moderni, e circa 40 milioni di

anni fa, con la radiazione dei Basilosauridi di cui Perucetus è il rappresentante più straordinario".

Lo studio di un simile 'peso massimo' è stato certamente eccitante ma non privo di difficoltà: "Ciascuna delle vertebre di Perucetus è talmente pesante (la più leggera pesa oltre 100 kg) da richiedere diverse persone robuste per ogni minimo spostamento – racconta Marco Merella – Oltre a rendere più difficili le fasi di scavo e preparazione, ciò ha complicato fortemente l'analisi osteoanatomica dei reperti. Ci siamo quindi rivolti alle innovative metodologie della paleontologia virtuale e in particolare alla scansione a luce strutturata, per acquisire ed elaborare modelli tridimensionali di dettaglio di tutte le ossa raccolte. Questi modelli ci hanno poi permesso di proseguire lo studio una volta ritornati a Pisa; infatti, è proprio grazie alla scansione a luce strutturata che è stato possibile stimare in maniera rigorosa il volume dello scheletro, fornendo così un supporto quantitativo alla ricostruzione della forma del corpo e del modo di vita di questo eccezionale cetaceo estinto".

 "La taglia titanica delle ossa di Perucetus rappresenta certamente il tratto più appariscente di questa nuova specie – afferma Alberto Collareta – ma l'enorme massa ricostruita per l'intero scheletro riflette anche l'alto peso specifico della tipologia di tessuto osseo di cui esso si compone. Tutte le ossa di Perucetus, infatti, sono costituite da osso estremamente denso e compatto, simile a quello che si rinviene, anche se in maniera decisamente meno marcata, nei sireni attuali. Questi mammiferi abitano in acque costiere poco profonde, dove uno scheletro particolarmente pesante funziona da 'zavorra', facilitando così l'alimentazione al fondale ed aumentando l'inerzia all'azione delle onde. L'ispessimento e appesantimento dello scheletro, in termini tecnici pachiosteosclerosi, che accomuna Perucetus ai sireni non si rinviene in nessun cetaceo attuale. Dunque, benché sia difficile fornire un'interpretazione paleoecologica di questo straordinario adattamento, è probabile che esso fornisse a Perucetus la stabilità necessaria per abitare acque agitate prossime alla linea di costa. Perucetus si alimentava probabilmente presso il fondale, forse privilegiando la ricerca di carogne di altri vertebrati marini come fanno oggi alcuni grandi squali".

Gli studi presso l'Università di Milano-Bicocca si sono concentrati sulla ricostruzione della stratigrafia e sulla datazione dell'antico antenato delle balene. "Sulla base di studi micropaleontologici di specie planctoniche e di una datazione radiometrica di una cenere vulcanica trovata nelle vicinanze del reperto – aggiungono Elisa Malinverno e Giulia Bosio– abbiamo potuto stimare un'età compresa tra 39.8 e 37.84 milioni di anni per questo fossile. Perucetus colossus viveva quindi nell'epoca denominata Eocene, quando gli antenati dei cetacei attuali stavano abbandonando lo stile di vita terrestre a favore di quello marino".

Claudio Di Celma e Pietro Paolo Pierantoni della sezione di Geologia dell'Università di Camerino hanno realizzato lo studio geologico-stratigrafico dell'area in cui è stato scoperto Perucetus colossus. "Attraverso lo studio delle rocce sedimentarie che lo contenevano – spiega Claudio Di Celma – abbiamo contribuito alla ricostruzione dell'ambiente in cui questo antico mammifero marino ha vissuto. Dove oggi c'è un deserto che si estende per centinaia di chilometri lungo la costa del Perù meridionale, in passato si trovava un ampio bacino marino, il Bacino di Pisco, caratterizzato da una notevole abbondanza di nutrienti e una ricca biodiversità".

 Per quanto la scoperta di Perucetus sia stata inaspettata, non lo sono il luogo e le modalità con cui essa è avvenuta. "Il ritrovamento delle prime ossa di Perucetus risale a tredici anni fa ed è merito di Mario Urbina, ricercatore di campo e vera e propria leggenda vivente della paleontologia peruviana – spiega Bianucci – ed è solo grazie alla perseveranza di Mario che lo scavo pluriennale di questo straordinario (e pesantissimo) fossile è stato possibile. È stato proprio Mario a realizzare che il Deserto di Ica - una delle aree più aride del pianeta - è sede di uno dei più grandi giacimenti di vertebrati fossili del mondo".

Il patrimonio paleontologico del Deserto di Ica

Da una quindicina d'anni, grazie a una serie di progetti di ricerca nazionali e internazionali (molti dei quali a guida dell'Università di Pisa), questo eccezionale patrimonio paleontologico viene adeguatamente valorizzato attraverso la ricerca scientifica portata avanti da un gruppo affiatato e multidisciplinare di cui i paleontologi peruviani sono parte integrante. Il Deserto di Ica è quindi diventato scenario di molte scoperte da record: dal più antico cetaceo quadrupede ad aver raggiunto l'Oceano Pacifico, al più antico antenato delle attuali balene, senza dimenticare l'enorme capodoglio predatore Livyatan melvillei; scoperte che confermano il ruolo di primissimo piano della paleontologia pisana nel campo dei mammiferi marini.

 Lo studio dei cetacei del Deserto di Ica e delle condizioni eccezionali che hanno portato alla formazione di questo straordinario giacimento fossilifero proseguirà negli anni a venire, anche grazie ad un nuovo finanziamento ministeriale (PRIN) coordinato proprio dall'Università di Pisa. "Scommetto che le sorprese non sono finite", conclude Bianucci.

(De: UniPi News, julio 2023).

Un nuovo modo di osservare i campi magnetici galattici per SNS News

Lo svela il programma SALSA, i cui risultati compaiono in uno studio di un team internazionale di ricercatori, tra cui Eva

Ntormousi della Scuola Normale SuperioreA HUBBLE 23

"Nell'universo, oltre ai misteri che riguardano la formazione delle stelle e delle galassie, si cela un

altro fenomeno affascinante: il magnetismo galattico. Milioni di volte più deboli di quelli di una

calamita, i campi magnetici interstellari svolgono però un ruolo cruciale nello sviluppo delle galassie.

Essi possono guidare il gas verso il buco nero nel centro delle galassie, regolare la formazione stellare e persino influenzare

il movimento del gas nel disco galattico. Tuttavia i campi magnetici interstellari sono intrinsecamente molto  difficili daA ROSA 23

studiare e gli astronomi devono quindi usare telescopi specializzati per la loro osservazione.

Il programma SALSA (Survey on extragALactic magnetiSm with SOFIA), dedicato allo studio

approfondito del magnetismo extragalattico, è giunto a una scoperta riguardante i campi magnetici

galattici presenti in 15 galassie intorno alla nostra galassia, la Via Lattea.

Grazie alle osservazioni nella banda infrarossa è stato possibile osservare campi magnetici complessi

e caotici, contrariamente ai campi magnetici tracciati dall'emissione nelle onde radio, che appaiono invece molto ordinati.

Una scoperta che ci porta più vicino ad una teoria dell'evoluzione galattica che includa gli effetti cruciali del campo

magnetico.

I ricercatori, tra cui Eva Ntormousi, astrofisica della Scuola Normale a Pisa, hanno utilizzato i dati forniti dal telescopio

aereo SOFIA (Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy), montato su un Boeing 747 SP della Nasa che scruta il

cielo da una porta aperta sul lato dell'aereo, e in particolare i dati raccolti da una speciale camera (High-resolution Airborne

Wideband Camera), confrontandoli con quelli del radiotelescopio Very Large Array, nel Nuovo Messico, e del telescopio

Effelsberg in Germania, entrambi sensibili al gas meno denso delle galassie.

I risultati - di cui si parla in un paper pubblicato da The Astrophysical Journal, hanno mostrato che la struttura del campo

magnetico tracciato da SOFIA nelle galassie a spirale è più disordinata di quella tracciata dai radiotelescopi. I radiotelescopi

tendono inoltre ad essere più sensibili ai campi magnetici presenti nel gas diffuso delle galassie ospiti. SOFIA è invece più

efficace nel tracciare il campo magnetico allineato parallelamente alla direzione del moto del gas rispetto ai radiotelescopi.

In alcune galassie particolari, come NGC 2146, SOFIA è in grado di distinguere tra il campo magnetico presente nei ventiA NASA23 161422main spitzer 062804 516

galattici e quello della galassia ospite utilizzando mappe a diverse lunghezze d'onda ottenute con

HAWC+. Le informazioni raccolte dal programma SALSA ci offrono quindi preziosi indizi sulla storia

evolutiva delle galassie e sui meccanismi fisici che ne regolano la dinamica.

"Questi risultati preliminari rappresentano un passo avanti significativo nella nostra comprensione

del magnetismo extragalattico – dichiara Ntormousi -. Oltre a confermare l'importanza del magnetismo nella formazione

delle galassie, offrono un solido fondamento per testare le teorie esistenti e sviluppare nuovi modelli che spiegano i

fenomeni osservati".

(De: SNS News, 14 giugno 2023. Versione Spagnola in breve) ...work in progress!

Musei del Bargello: nuova esposizione medaglistica per la Scuola Normale

"A cura della Scuola Normale Superiore ha preso il via il progetto di riallestimento nella Sala barocca e nella Sala del Medagliere, presso il Museo Nazionale del Bargello, dell'esposizione di una parte delle collezioni di medaglie custodite nel celebre museo fiorentino.

La selezione espositiva attingerà da un "corpus" di circa 10mila esemplari che coprono un arco cronologico che va principalmente dal XV al XVIII secolo, e avverrà sotto la direzione della professoressa Lucia Simonato, associata della Classe di Lettere e Filosofia.

L'intervento si svolgerà nel contesto del nuovo allestimento delle due sale. Sviluppato da un'equipe guidata da Paola D'Agostino, direttrice dei Musei del Bargello, l'importante progetto espositivo rinnoverà una situazione che restava pressoché immutata dall'Ottocento e che negli anni Novanta del secolo scorso aveva visto una drastica riduzione del numero di medaglie presentate al pubblico, ma non un aggiornamento dei criteri espositivi. L'inaugurazione delle due sale è prevista entro quest'anno.

Il nuovo allestimento, che unirà ad alcune vetrine ottocentesche restaurate nuovi e moderni espositori, punterà alla massima valorizzazione, secondo aggiornati criteri museografici e storiografici, di sculture di piccole dimensioni e soprattutto di medaglie: un materiale spesso negletto negli studi, ma di primaria importanza culturale e artistica all'interno del patrimonio italiano.

La collezione medaglistica del Museo fiorentino rappresenta una delle più cospicue e pregiate raccolte al mondo, intimamente connessa con le vicende dei Medici, la loro affermazione politica e la ricchezza delle loro reti diplomatiche in età moderna.

Il progetto potrà inoltre giovarsi di specifiche ricerche ad esso legate a cura di Giulia Daniele, vincitrice di un assegno annuale cofinanziato al 60% dai Musei del Bargello, bandito dalla Scuola Normale con il titolo Le medaglie del Bargello: studi storico-artistici e strategie espositive.

La collaborazione per il nuovo allestimento si pone a coronamento di un biennio di proficuo scambio scientifico tra il Bargello e la Scuola Normale grazie al progetto MeB 2020-2022 (Conoscere e conservare i piccoli metalli del Bargello: nuove indagini storico-artistiche e scientifiche su medaglie e placchette d'età moderna), coordinato da Lucia Simonato e co-finanziato dalla Regione Toscana con le risorse del POR FSE 2014-2020 nell'ambito del programma Giovanisì.

(De: SNS-News. 10 mayo 2023...work in progress!)

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